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DAVY SPILLANE

Il 1 agosto 1991 tornavo dall’Irlanda con il mio set di uilleann pipes e la consapevolezza di avere davanti a me un lavoro improbo da compiere per imparare quello strumento diabolico; avevo raccolto anche una discreta quantità di dischi e cd sui quali contavo moltissimo per capire qualcosa in più su come si suonassero le uilleann pipes. Tra questi dischi ce n’era uno che raffigurava un suonatore di pipes in copertina: lui era Davy Spillane ed il disco era Shadow Hunter. Il primo ostacolo fu capire che Spillane è mancino, e che quindi tutto lo strumento andava indossato specularmente rispetto alla foto…Oltre a questo da quel disco imparai anche un’altra cosa, importantissima: esisteva un modo alternativo per suonare le pipes rispetto a quello tradizionale, e la mia formazione rock non poteva che gioire per questo. Le uilleann pipes sono lo strumento più versatile in assoluto della famiglia delle cornamuse, così grazie a cotanto esempio ho imparato a suonare le uilleann nel modo più libero e creativo possibile, usandole ora come una chitarra elettrica, ora come una voce. Successivamente approcciai anche la musica davvero tradizionale, ma ormai la traccia era stata segnata. Chi non conoscesse la musica di Davy Spillane vada a sentire il brano Midnight Walker, dall’album Pipedreams.

Chiudete gli occhi. Pensa a tutto lui….

RUSH – Moving Pictures

 

Per chi non lo sapesse, molto prima di suonare le uilleann pipes ero dedito a suonare il basso,con un paio di gruppi più che altro dediti a cover di vario genere. Non avevo  una figura di riferimento tra i bassisti nella musica che ascoltavo: il più originale ed interessante era senz’altro Chris Squire degli Yes, che però usava il plettro ed a me quesa cosa non piaceva. Poi il mio grande amico Andrea Nocentini, fine conoscitore di musica e grande batterista, mi fece sentire questo disco suonato da un trio canadese nelle cui fila militava Geddy Lee al basso. Fu una autentica folgorazione: stilisticamente non avevo mai sentito niente di così creativo e poderosamente ritmico al tempo stesso. Mi sembrò soprattutto un modo molto divertente di suonare il basso, un modo che ti consentiva anche di divertirsi e di concedersi qualche eccesso rispetto alla semplice linea ritmica. Aggiungete al gruppo un chitarrista come Alex Lifeson ed un batterista come Neil Peart e la partita è definitivamente chiusa: capolavori come Tom Sawyer, YYZ o Limelight non si scrivono tutti i giorni. Testimonianza della eccezionale qualità del combo canadese è la loro longevità: sono ancora in pista dopo 37 anni con una qualità ed un professionismo ineguagliati.moving pictures

Per chi non lo sapesse, molto prima di suonare le uilleann pipes ero dedito a suonare il basso,con un paio di gruppi più che altro dediti a cover di vario genere. Non avevo  una figura di riferimento tra i bassisti nella musica che ascoltavo: il più originale ed interessante era senz’altro Chris Squire degli Yes, che però usava il plettro ed a me quesa cosa non piaceva. Poi il mio grande amico Andrea Nocentini, fine conoscitore di musica e grande batterista, mi fece sentire questo disco suonato da un trio canadese nelle cui fila militava Geddy Lee al basso. Fu una autentica folgorazione: stilisticamente non avevo mai sentito niente di così creativo e poderosamente ritmico al tempo stesso. Mi sembrò soprattutto un modo molto divertente di suonare il basso, un modo che ti consentiva anche di divertirsi e di concedersi qualche eccesso rispetto alla semplice linea ritmica. Aggiungete al gruppo un chitarrista come Alex Lifeson ed un batterista come Neil Peart e la partita è definitivamente chiusa: capolavori come Tom Sawyer, YYZ o Limelight non si scrivono tutti i giorni. Testimonianza della eccezionale qualità del combo canadese è la loro longevità: sono ancora in pista dopo 37 anni con una qualità ed un professionismo ineguagliati.

JETHRO TULL – Aqualung

Ho letto una intervista a Ian Anderson in cui il musicista raccontava come al momento della incisione di Aqualung il gruppo andò a registrare in uno studio nuovo di zecca, con tutte le tecnologie più avanzate a disposizione per l’epoca. Bene, nessuno era in grado di far funzionare lo studio in maniera appropriata e pertanto la realizzazione di questo album si rivelò difficilissima, tutta a base di sovraincisioni fatte con ascolti molto approssimativi.Chissà che questo non sia davvero il segreto di questo capolavoro che sì, contiene alcuni brani memorabili come LOCOMOTIVE BREATH o WOND’RING ALOUD o la stessa AQUALUNG, ma che secondo me ha la sua forza primaria nel suono.E’ come se tutto il suono dell’album fosse velato da una patina impalpabile ma determinante, quella patina che solo il tempo nel corso degli anni riesce a produrre e che inevitabilmente impreziosisce, conferendo quel che di classico e irripetibile.

Molto significativo poi l’atteggiamento provocatorio riguardo ai testi, polemici nei confronti della religione e della chiesa, specchio fedelissimo del carattere istrionico e  provocatore del leader, soprattutto se contestualizzato nel momento storico e culturale in cui il disco è stato composto.
Va ricordato inoltre che, dopo un periodo iniziale dove la band aveva esplorato le radici del blues, con questo lavoro Ian Anderson e soci entrano a pieno titolo nell’universo folk rock con brani come MOTHER GOOSE o la già citata WOND’RING ALOUD, inaugurando una serie di ballate acustiche suonate con il capotasto in terza posizione (da qui in avanti marchio di fabbrica inconfondibile dei JT insieme alla splendida voce di Anderson).Soprattutto quest’ultimo elemento, insieme con il modo di usare il plettro della Martin,  è stata una delle influenze riconoscibili nel mio universo musicale; sentire per credere alcune mie parti chitarristiche o anche sul buzuki.aqualung
Ho letto una intervista a Ian Anderson in cui il musicista raccontava come al momento della incisione di Aqualung il gruppo andò a registrare in uno studio nuovo di zecca, con tutte le tecnologie più avanzate a disposizione per l’epoca. Bene, nessuno era in grado di far funzionare lo studio in maniera appropriata e pertanto la realizzazione di questo album si rivelò difficilissima, tutta a base di sovraincisioni fatte con ascolti molto approssimativi.Chissà che questo non sia davvero il segreto di questo capolavoro che sì, contiene alcuni brani memorabili come LOCOMOTIVE BREATH o WOND’RING ALOUD o la stessa AQUALUNG, ma che secondo me ha la sua forza primaria nel suono.E’ come se tutto il suono dell’album fosse velato da una patina impalpabile ma determinante, quella patina che solo il tempo nel corso degli anni riesce a produrre e che inevitabilmente impreziosisce, conferendo quel che di classico e irripetibile.

Molto significativo poi l’atteggiamento provocatorio riguardo ai testi, polemici nei confronti della religione e della chiesa, specchio fedelissimo del carattere istrionico e  provocatore del leader, soprattutto se contestualizzato nel momento storico e culturale in cui il disco è stato composto.
Va ricordato inoltre che, dopo un periodo iniziale dove la band aveva esplorato le radici del blues, con questo lavoro Ian Anderson e soci entrano a pieno titolo nell’universo folk rock con brani come MOTHER GOOSE o la già citata WOND’RING ALOUD, inaugurando una serie di ballate acustiche suonate con il capotasto in terza posizione (da qui in avanti marchio di fabbrica inconfondibile dei JT insieme alla splendida voce di Anderson).Soprattutto quest’ultimo elemento, insieme con il modo di usare il plettro della Martin,  è stata una delle influenze riconoscibili nel mio universo musicale; sentire per credere alcune mie parti chitarristiche o anche sul buzuki.

LA PRIMA JAM SESSION – Pierre Bensusan

Era il 1993, credo fosse marzo. Dopo circa un anno e mezzo di studio matto e disperatissimo stavo finalmente cominciando a tirare fuori qualche suono dalle mie uilleann pipes; contemporaneamente l’amicizia con Paolo Brasini, direttore artistico del VELVET UNDERGROUND di Castiglion Fiorentino (AR) mi consentiva di vedere da molto vicino artisti di valore assoluto, scambiare con loro opinioni, sentirli dal vivo per cercare di carpirne i segreti. Naturalmente ero davvero inesperto e troppo, troppo timido per propormi come musicista in alcun modo; quindi mi limitavo ad osservare i sound check, andare a cena con gli artisti, parlarci di musica, di come era fatta la vita del musicista ecc. Poi, per scaramanzia, portavo con me anche lo strumento, non si sa mai..

Particolare sintonia scattò col grande chitarrista francese PIERRE BENSUSAN. All’epoca non lo conoscevo, ma l’amico Paolo Brasini mi assicurò che si trattava di uno dei più grandi in assoluto. Ed effettivamente lo fu, grande: un chitarrista eccezionale e davvero molto, molto originale. Inoltre, cosa che fece la differenza, una persona disponibilissima.Parlammo a lungo di tante cose: musica, cibo, politica….tutto molto gradevole. Il concerto fu assolutamente magistrale: Pierre sembrava particolarmente ispirato e non si risparmiò, deliziando il pubblico con prodezze tecniche ma anche grande intensità melodica. Finito il concerto, quando ormai se ne erano andati già tutti, Pierre venne da me e mi disse : ti va di suonare un pezzo con me? Riavutomi dalla sorpresa e dall’emozione, corsi a prendere le uilleann pipes e mi sedetti accanto a lui sul palco. Davanti a quattro o cinque amici miei, più sorpresi anche di me, tra cui LUCA BUSATTI, già presente in questo sito in altri articoli, Pierre mi fece ascoltare una melodia ancora incompiuta, e da lì partì una lunga improvvisazione (circa venti minuti)  per una atmosfera davvero unica e irripetibile. Ricordo ancora perfettamente le facce trasognate di tutti al termine del pezzo: avevo appena visto e provato come si compie la magia della musica, quella vera. Quella serata risultò apportare una spinta decisiva alla mia determinazione nel diventare musicista a tutti gli effetti: troppo preziosi quei momenti per non cercare di viverli tutti!

Non ho più avuto modo di incontrare Pierre da allora, ma approfitto di questo spazio per mandargli questo messaggio, che gli devo praticamente da allora: GRAZIE.2013-10-14_06_10_44

Era il 1993, credo fosse marzo. Dopo circa un anno e mezzo di studio matto e disperatissimo stavo finalmente cominciando a tirare fuori qualche suono dalle mie uilleann pipes; contemporaneamente l’amicizia con Paolo Brasini, direttore artistico del VELVET UNDERGROUND di Castiglion Fiorentino (AR) mi consentiva di vedere da molto vicino artisti di valore assoluto, scambiare con loro opinioni, sentirli dal vivo per cercare di carpirne i segreti. Naturalmente ero davvero inesperto e troppo, troppo timido per propormi come musicista in alcun modo; quindi mi limitavo ad osservare i sound check, andare a cena con gli artisti, parlarci di musica, di come era fatta la vita del musicista ecc. Poi, per scaramanzia, portavo con me anche lo strumento, non si sa mai..

Particolare sintonia scattò col grande chitarrista francese PIERRE BENSUSAN. All’epoca non lo conoscevo, ma l’amico Paolo Brasini mi assicurò che si trattava di uno dei più grandi in assoluto. Ed effettivamente lo fu, grande: un chitarrista eccezionale e davvero molto, molto originale. Inoltre, cosa che fece la differenza, una persona disponibilissima.Parlammo a lungo di tante cose: musica, cibo, politica….tutto molto gradevole. Il concerto fu assolutamente magistrale: Pierre sembrava particolarmente ispirato e non si risparmiò, deliziando il pubblico con prodezze tecniche ma anche grande intensità melodica. Finito il concerto, quando ormai se ne erano andati già tutti, Pierre venne da me e mi disse : ti va di suonare un pezzo con me? Riavutomi dalla sorpresa e dall’emozione, corsi a prendere le uilleann pipes e mi sedetti accanto a lui sul palco. Davanti a quattro o cinque amici miei, più sorpresi anche di me, tra cui LUCA BUSATTI, già presente in questo sito in altri articoli, Pierre mi fece ascoltare una melodia ancora incompiuta, e da lì partì una lunga improvvisazione (circa venti minuti)  per una atmosfera davvero unica e irripetibile. Ricordo ancora perfettamente le facce trasognate di tutti al termine del pezzo: avevo appena visto e provato come si compie la magia della musica, quella vera. Quella serata risultò apportare una spinta decisiva alla mia determinazione nel diventare musicista a tutti gli effetti: troppo preziosi quei momenti per non cercare di viverli tutti!

Non ho più avuto modo di incontrare Pierre da allora, ma approfitto di questo spazio per mandargli questo messaggio, che gli devo praticamente da allora: GRAZIE.

GANGS OF NEW YORK. Come ti entro nel rutilante mondo del cinema


Nel 2000  il mio amico Marcello De Dominicis, grandissimo esperto di musica popolare celtica, venne incaricato di fare il consulente musicale per il grande film di Martin Scorsese che sarebbe stato girato a Cinecittà. Servivano inoltre musicisti locali, italiani, possibilmente ferrati in materia di musica irlandese,quindi fu abbastanza automatico pensare anche al sottoscritto.

Il lavoro consisteva in registrare un paio di brani in studio, a Roma; successivamente quella musica sarebbe entrata a far parte della colonna sonora del film ed usata per il playback in fase di girato.

La registrazione in sè non fu particolarmente gratificante, ma ovviamente il cuore dell’evento fu girare una scena in un film così importante. Innanzitutto la scenografia: Dante Ferretti aveva ricostruito mezza New York nel 1860 con una dovizia di particolari incredibile. Imparai molto velocemente che è la cura dei particolari che fa la differenza a quei livelli:Scorsese mirava all’Oscar, e per vincere un Oscar con un film storico devi sciorinare una precisione nei dettagli assolutamente maniacale.

Prima fase: i costumi. Una stanza intera piena di vestiti ottocenteschi, cilindri. bombette, scarpe durissime, camicie ruvide. Poi, il tocco di classe: GRASSO DI FOCA IN TESTA!!
Pensate che profumino….

Seconda fase: l’attesa. Ore ed ore senza fare assolutamente niente se non ascoltare i racconti di alcune comparse che asserivano di aver lavorato con tutti i registi più grandi (benissimo, salvo che nessuno se li ricorderà in quanto comparse…) ed allontanare l’immancabile venditore di orologi ( aoh, so’ rolez verii!). Che scatole..

Terza fase: il professionismo americano e quello italiano. Daniel Day Lewis, Di Caprio, Cameron Diaz, Martin Scorsese: che volete di più? una qualità così alta me l’ero sognata fino ad allora. Per quanto riguarda quello italiano, successe anche questo: la scena in cui facevo la comparsa prevedeva una serie di accoppiamenti carnali nella taverna tra signorine molto poco vestite e birbaccioni in costume d’epoca; tra le signorine spiccava una certa Eva Henger, nota professionista del settore. Il set era, ovviamente, doppiamente blindato. Al terzo ciak parte la musica, noi suoniamo in playback facendo dei movimenti prestabiliti, e uno di noi viene a trovarsi esattamente davanti a Eva Henger impallando un barista il quale, incurante delle macchine che stanno girando, sbotta in un perfetto romanesco: “Ahò, scansete che nun vedo un c…!!! Vi lascio immaginare il direttore di produzione: una belva scatenata che insultava a ripetizione il povero barista…A parte tutto, comunque, una esperienza davvero indimenticabile!

UN DISCO LUNGO 250 KM

Io ho un collega, nonchè carissimo amico, che si chiama Raffaello Simeoni. E’ un cantante e polistrumentista come se ne trovano pochi. Ci siamo conosciuti circa dieci anni fa, ed è subito scoccata la scintilla della sintonia artistica. Molte sono state le volte in cui abbiamo diviso il palco, e sempre c’è stata la sensazione di un gran bel potenziale nonchè di grandi affinità per quanto riguarda i gusti musicali.