Category Archive Articoli, recensioni, news

LE MIE RECENSIONI DI ALTRI ARTISTI – Bloogfolk.com

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FABRIZIO POGGI – Il Soffio della Libertà

 

 

 

SteveHackettCop

STEVE HACKETT – Wolflight

 

 

 

saor patrol

SAOR PATROL – Outlander

 

 

 

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THE GUTBUCKETS – Kick Out The Lomax

 

 

 

Bela Fleck

BELA FLECK & ABIGAIL WASHBURN – Bela Fleck & Abigail Washburn

 

 

 

nine600

YOUNG DUBLINERS – Nine

 

 

 

PenguinCafe-TheRedBook

PENGUIN CAFE – The Red Book 

 

 

 

elephant

MARTIN & ELIZA CARTHY – The Moral Of The Elephant

 

 

 

Oysterband

OYSTERBAND – Diamonds on the water

 

 

 

Homo Erraticus

IAN ANDERSON – Homo Erraticus

 

 

 

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BAP KENNEDY – Let’s Start Again

THE IRISH BOUZOUKI

Verso la fine degli anni sessanta, in Irlanda, due giovanotti di nome Andy Irvine e Donal Lunny, di lì a breve destinati a rivoluzionare per sempre la musica tradizionale del loro paese attraverso un gruppo chiamato PLANXTY, pensarono di allargare il tiro introducendo lo strumento greco per eccellenza nelle sessions al pub. Furono necessarie alcune modifiche: la tonalità, certo, ma anche la forma, visto che il fondo bombato dello strumento greco mal si adattava ad essere suonato da seduto…

La grande particolarità del bouzouki irlandese è la sua capacità di sostenere al tempo stesso melodia e ritmica, vuoi per l’accordatura aperta (sol-re-la-re) vuoi per l’attacco deciso ed incisivo delle note singole.   Possiedo uno strumento di CORDOVA GUITARS, l’ azienda di Carlos MICHELUTTI, liutaio argentino itinerante tra Gubbio e Cremona; fu il primo bouzouki che costruì ed è uno strumento di eccezionale stabilità; tavola di acero ed abete, tastiera in ebano. Rispetto al bouzouki greco, ma anche a quello irlandese in genere, produce un suono molto più ricco e tondo, forse più adatto a contesti musicali meno affollati ma davvero molto piacevole all’orecchio.buzuki
Verso la fine degli anni sessanta, in Irlanda, due giovanotti di nome Andy Irvine e Donal Lunny, di lì a breve destinati a rivoluzionare per sempre la musica tradizionale del loro paese attraverso un gruppo chiamato PLANXTY, pensarono di allargare il tiro introducendo lo strumento greco per eccellenza nelle sessions al pub. Furono necessarie alcune modifiche: la tonalità, certo, ma anche la forma, visto che il fondo bombato dello strumento greco mal si adattava ad essere suonato da seduto…

La grande particolarità del bouzouki irlandese è la sua capacità di sostenere al tempo stesso melodia e ritmica, vuoi per l’accordatura aperta (sol-re-la-re) vuoi per l’attacco deciso ed incisivo delle note singole.   Possiedo uno strumento di CORDOVA GUITARS, l’ azienda di Carlos MICHELUTTI, liutaio argentino itinerante tra Gubbio e Cremona; fu il primo bouzouki che costruì ed è uno strumento di eccezionale stabilità; tavola di acero ed abete, tastiera in ebano. Rispetto al bouzouki greco, ma anche a quello irlandese in genere, produce un suono molto più ricco e tondo, forse più adatto a contesti musicali meno affollati ma davvero molto piacevole all’orecchio.

IL NOSTRO MOMENTO

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Si dice da sempre che la musica rock sia la musica giovane, anzi la musica per i giovani. E sì, sono senz’altro per la maggior parte i ragazzi che si ritrovano sotto qualche palco per ballare, cantare, scatenarsi e rimarcare anche fisicamente, oltre che spiritualmente, la loro giovinezza.

Anche i mezzi di comunicazione hanno sempre definito il rock come la musica giovane; io stesso ho avuto ampiamente modo di verificare quanto sopra durante la mia lunga permanenza nei Modena City Ramblers: l’85% del pubblico era – ed è ancora – composto da giovani e giovanissimi.

Poi però, come sempre, esistono delle eccezioni. Esistono cioè dei momenti in cui la musica – anche quella rock –  è destinata a persone meno giovani, scatenando inevitabilmente un’ondata di emozioni variegate e fortissime,  pari a quelle vissute da persone più giovani e ristabilendo un ordine democratico e paritario tra le diverse generazioni. Il 27 luglio 2014 io ho assistito ad uno di questi momenti, e per la prima volta mi sono trovato dall’altra parte della barricata, ossia tra i cosiddetti matusa.

L’evento si è verificato a Cortona (AR), splendida città etrusca adagiata sulle colline della Valdichiana, nell’ambito del Mix Festival 2014; protagonista dell’evento uno dei mostri sacri della musica rock progressive, il chitarrista STEVE HACKETT, che accompagnato da un gruppo di musicisti si è prodotto in una delle serate tecnicamente più potenzialmente pericolose per quanto riguarda la produzione di ferormoni nostalgici liberi nell’organismo umano: suonare la musica dei primi GENESIS! Dalla notte dei tempi il gruppo inglese è stato uno dei più amati della scena prog anni 70, e la dipartita di PETER GABRIEL nel 1974 sostituito da PHIL COLLINS ha scatenato dibattiti infiniti e discussioni intensissime tra i fans: meglio prima o dopo? Qual’è la migliore line up del gruppo? e via discorrendo. Adesso Hackett si presenta in tour con un gruppo di musicisti sconosciuti ai più nell’intento di riprodurre quella magia e quel suono senza i suoi celebratissimi ex colleghi. Salto mortale senza rete, viene da pensare. Ma la curiosità è davvero troppa per mancare.

Arrivo a Cortona nel tardo pomeriggio. L’atmosfera è davvero splendida: oltre ai tantissimi turisti stranieri che abitualmente invadono la città ci sono molte persone dirette al concerto e ai vari appuntamenti che il Festival ha organizzato. Mentre salgo la ripida salita che porta in piazza Signorelli sento delle voci microfonate provenire da dentro una chiesa: metto il naso dentro e vedo ERNESTO ASSANTE e GINO CASTALDO, ossia il gotha del giornalismo musicale italiano, intervistare la segretaria dei BEATLES. Subito mi scappa un sorriso: c’è qualcosa di diverso dal solito, dai soliti concerti. Fatico un attimo a mettere a fuoco di cosa si tratta, e proseguo la mia salita verso la piazza. Arrivo in una piazza piena di gente, dove lo spazio del concerto era già delimitato da transenne che però consentivano ancora un passaggio pedonale. Sento della musica provenire dal palco e mi affaccio: c’è ancora il gruppo sul palco che fa il soundcheck, stanno provando THE RETURN OF THE GIANT HOGWEED. Mi guardo intorno e mi vedo circondato da tanta gente, tutta con un telefono o un tablet in mano intenta a riprendere la scena. Hanno tutti sopra i quarant’anni e soprattutto hanno tutti la medesima espressione: occhi sbarrati e la bocca semiaperta in un sorriso diviso tra sorpresa e felicità estrema. E allora capisco qual’è la cosa diversa rispetto ad altre situazioni che prima mi sfuggiva: siamo tutti vecchietti! Siamo, ovviamente ma non troppo, un pubblico di mezz’età che ha colto l’occasione di sentire della musica meravigliosa dal vivo per la prima volta nella loro vita, suonata non da una cover band ma da uno dei protagonisti originali. Una volta compreso tutto questo, non vedo l’ora che si inizi.

Raggiungo il mio posto a sedere, e mentre aspettiamo nell’impianto suona della musica, in molta della quale spadroneggia una cornamusa irlandese. Segno buono, penso…Alle 21,30 esatte tra l’entusiasmo generale parte l’inconfondibile arpeggio di apertura di DANCE ON A VOLCANO. Il gruppo suona bene, la resa è più che buona, per quanto sia ovviamente impossibile non sentire l’assenza di Gabriel e Collins, ma tutti svolgono il proprio compito con diligenza, attenzione e professionalità. Il suono della Gibson di Hackett troneggia, ora cattivo ora dolcissimo, proprio come in quegli album che abbiamo tutti divorato per anni. In più di un momento la commozione prende il sopravvento: sentire dal vivo THE MUSICAL BOX, DANCING WITH THE MOONLIT KNIGHT o SUPPER’s READY suonata da Hackett in persona non ha prezzo. Mi guardo ancora intorno: ci sono amici, tanti, e persone che non conosco, tutti della mia generazione. Molti di noi hanno gli occhi lucidi, altri cantano, moltissimi sorridono. Ed è lì che mi accorgo che i veri protagonisti della serata siamo noi. E’ la nostra serata. Il nostro momento. Per una sera i ragazzi più giovani passano in secondo piano. Certo, ce n’erano alcuni tra il pubblico, ma quella è la serata della nostra riscossa, la carica degli ultraquarantenni! Siamo di nuovo, per una sera, liberi di cantare, ridere, piangere, godere fisicamente per la cosa più bella che ci sia al mondo: la musica. E che musica: i Genesis in persona! Attenzione: non si tratta solo di nostalgia per quando eravamo giovani e quindi le cose erano per forza migliori. C’è di mezzo, secondo me, anche un discorso musicale trasversale, un pensiero a quando la musica aveva un’importanza diversa nella nostra società. Ed è come sottolineare di nuovo, ricordare che era possibile scrivere qualcosa di bellissimo che non durasse necessariamente tre minuti e mezzo altrimenti le radio non l’avrebbero passata; e visto che ancora oggi gli stessi protagonisti di quella musica sono in giro a suonarla, personalmente voglio credere che sia ancora possibile farlo oggi. Se poi dura cinque minuti anzichè sette pazienza! Finito il concerto, come una volta, tutti a discutere: questo brano è venuto meglio, quello peggio, il bassista bravissimo, ma insomma, a me è piaciuto più il tastierista, certo che Collins e Gabriel…tutto sempre col sorriso di chi ha consumato la sua riscossa. Se mai ce ne fosse bisogno mi rendo conto, sempre di più, del potere della musica.

Quando è buona.

THE IRISH TIN WHISTLE

Un piccolo, poco appariscente tubino di latta con sei fori davanti ed un beccuccio di plastica colorata. Ma anche uno dei simboli della musica irlandese, l’accesso più veloce ed immediato per migliaia e migliaia di appassionati che vogliono confrontarsi con la musica irlandese. E parimenti uno degli strumenti più insospettabilmente espressivi nel panorama tradizionale dell’isola verde.

Nacque con una zeppa di legno al posto del beccuccio, in tempi remoti, un modello denominato Clarke; oggi i modelli più usati sono i Generation, reperibili in qualsiasi negozio di strumenti musicali anche in Italia. Esistono versioni molto più ricercate: interamente di plastica (Susato), o col beccuccio metallico su corpo di legno, più costose, senz’altro più raffinate, ma che qualche volta eccedono in precisione, perdendo un pò di quella semplicità che è in realta la forza di questo strumento,  piccolo ma magico al punto da aver avuto degli interpreti passati alla storia della musica irlandese: Micho Russell, Sean Ryan, Sean Potts oltre che Paddy Moloney dei Chieftains.whistles
Un piccolo, poco appariscente tubino di latta con sei fori davanti ed un beccuccio di plastica colorata. Ma anche uno dei simboli della musica irlandese, l’accesso più veloce ed immediato per migliaia e migliaia di appassionati che vogliono confrontarsi con la musica irlandese. E parimenti uno degli strumenti più insospettabilmente espressivi nel panorama tradizionale dell’isola verde.

Nacque con una zeppa di legno al posto del beccuccio, in tempi remoti, un modello denominato Clarke; oggi i modelli più usati sono i Generation, reperibili in qualsiasi negozio di strumenti musicali anche in Italia. Esistono versioni molto più ricercate: interamente di plastica (Susato), o col beccuccio metallico su corpo di legno, più costose, senz’altro più raffinate, ma che qualche volta eccedono in precisione, perdendo un pò di quella semplicità che è in realta la forza di questo strumento,  piccolo ma magico al punto da aver avuto degli interpreti passati alla storia della musica irlandese: Micho Russell, Sean Ryan, Sean Potts oltre che Paddy Moloney dei Chieftains.

LE UILLEANN PIPES

La regina, a parer mio, degli strumenti appartenenti alla famiglia delle cornamuse. Sette ance, un chanter per la melodia, tre bordoni di re, tre regulators con possibilità di armonizzare la melodia che stai suonando attraverso la pressione di chiavi col polso destro…Detto così sembra molto difficile, invece è anche peggio!
Il mio set di uilleann pipes è stato costruito in diverse fasi: nel 1991 presi un pratice set da CHARLES ROBERTS all’epoca costruttore e sempre all’epoca residente a Glencar, Sligo, Eire. Tre anni dopo tornai da lui per aggiungere i regulators. Adesso CHARLES ROBERTS non lavora più in questo settore e non abita neanche più in Irlanda; in compenso il figlio Alan continua a suonare gli strumenti di suo padre.olanda1.jpg

La regina, a parer mio, degli strumenti appartenenti alla famiglia delle cornamuse. Sette ance, un chanter per la melodia, tre bordoni di re, tre regulators con possibilità di armonizzare la melodia che stai suonando attraverso la pressione di chiavi col polso destro…Detto così sembra molto difficile, invece è anche peggio!
Il mio set di uilleann pipes è stato costruito in diverse fasi: nel 1991 presi un pratice set da CHARLES ROBERTS all’epoca costruttore e sempre all’epoca residente a Glencar, Sligo, Eire. Tre anni dopo tornai da lui per aggiungere i regulators. Adesso CHARLES ROBERTS non lavora più in questo settore e non abita neanche più in Irlanda; in compenso il figlio Alan continua a suonare gli strumenti di suo padre.

DAVY SPILLANE

Il 1 agosto 1991 tornavo dall’Irlanda con il mio set di uilleann pipes e la consapevolezza di avere davanti a me un lavoro improbo da compiere per imparare quello strumento diabolico; avevo raccolto anche una discreta quantità di dischi e cd sui quali contavo moltissimo per capire qualcosa in più su come si suonassero le uilleann pipes. Tra questi dischi ce n’era uno che raffigurava un suonatore di pipes in copertina: lui era Davy Spillane ed il disco era Shadow Hunter. Il primo ostacolo fu capire che Spillane è mancino, e che quindi tutto lo strumento andava indossato specularmente rispetto alla foto…Oltre a questo da quel disco imparai anche un’altra cosa, importantissima: esisteva un modo alternativo per suonare le pipes rispetto a quello tradizionale, e la mia formazione rock non poteva che gioire per questo. Le uilleann pipes sono lo strumento più versatile in assoluto della famiglia delle cornamuse, così grazie a cotanto esempio ho imparato a suonare le uilleann nel modo più libero e creativo possibile, usandole ora come una chitarra elettrica, ora come una voce. Successivamente approcciai anche la musica davvero tradizionale, ma ormai la traccia era stata segnata. Chi non conoscesse la musica di Davy Spillane vada a sentire il brano Midnight Walker, dall’album Pipedreams.

Chiudete gli occhi. Pensa a tutto lui….

Fenomenologia delle cover bands

Mai piaciute le cover bands, lo ammetto. Quando – ormai una buona quindicina d’anni fa – cominciò a diffondersi questo fenomeno , e i vari cloni di PINK FLOYD, GENESIS e U2,cominciarono a guadagnare consensi e sottrarre palchi a gruppi originali, mi schierai apertamente contro questa tendenza. Del resto vedere una persona comune che la sera si mette una parrucca a caschetto per assomigliare a Paul Mc Cartney, e nondimeno è costretto ad agitare la testa per muoverla allo stesso suo modo mentre emette quegli stessi gridolini che tanto sconvolsero le ragazze degli anni ’60 a me fa ancora sorridere. Ho visto gruppi che riproducevano alla perfezione – questo va detto – i grandi classici di tante formazioni epiche, il che dal punto di vista musicale è tutt’altro che negativo (molto spesso si tratta di musica molto difficile da suonare), ma in molti casi a parer mio si esagera. E fino a quando la cosa si limita a sconfinare un pò nel musical-feticistico, ossia nel cercare lo stesso modello di amplificatore, di chitarra, fabbricata nello stesso anno, le solite corde, il solito piano va ancora bene; penso che sia troppo quando si finisce per coinvolgere un aspetti che con la musica non c’entrano niente: si finisce cioè col calarsi TOTALMENTE nel personaggio interpretato, quasi vivendone la vita al posto della propria, parlando con il suo accento, vestendo come lui, atteggiandosi come lui. Ho visto una volta un gruppo che suonava musica di un gruppo il cui cantante (l’originale) aveva avuto seri problemi alla gola ed il suo clone, cantando, si sforzava proprio come se ce li avesse avuti anche lui! Per non parlare di tutte le cover band di Vasco Rossi che hanno il cantante che parla con accento modenese anche fuori dal palco, pur non essendo di quelle parti. Mah…

Detto questo, nel mese di Aprile mi succede che il mio amico Silvio Trotta mi racconta che sta preparando una serata tutta incentrata sul repertorio di ANGELO BRANDUARDI. La serata si sarebbe tenuta ovviamente al Circolo Aurora di Arezzo. Così, per divertimento. E lì mi soffermato a pensare un attimo…DIVERTIMENTO! Ecco la parola magica! Certe volte perdiamo di vista la principale caratteristica che la musica – come forse la maggior parte delle cose – deve avere: uno si deve divertire nel fare le cose. Perchè così le cose vengono meglio. E allora ha senso anche che uno si vesta come Peter Gabriel negli anni d’oro coi Genesis. Se si diverte,Chissenefrega.

Così, sull’onda dell’entusiasmo, mi sono unito a questi amici per provare anche un’esperienza diversa da tutte quelle praticate negli ultimi 20 anni; il nostro – ormai possiamo così definirlo – mestiere ha fatto sì che i brani venissero leggermente reinterpretati, in modo forse da farci fare quel piccolo scatto tale da riportarci un attimo al di fuori della dimensione di cover band, ma del resto Silvio Trotta non avrebbe mai avuto i capelli di Branduardi neanche alla decima reincarnazione.Il risultato?

Una serata divertentissima, dove ognuno aveva la libertà di fare qualcosa che gli piacesse solo per il gusto di farla. Un sacco di gente contenta che ci ringraziava. Un paio di repliche da fare in estate.

Niente di particolarmente pericoloso, insomma…

GANGS OF NEW YORK. Come ti entro nel rutilante mondo del cinema


Nel 2000  il mio amico Marcello De Dominicis, grandissimo esperto di musica popolare celtica, venne incaricato di fare il consulente musicale per il grande film di Martin Scorsese che sarebbe stato girato a Cinecittà. Servivano inoltre musicisti locali, italiani, possibilmente ferrati in materia di musica irlandese,quindi fu abbastanza automatico pensare anche al sottoscritto.

Il lavoro consisteva in registrare un paio di brani in studio, a Roma; successivamente quella musica sarebbe entrata a far parte della colonna sonora del film ed usata per il playback in fase di girato.

La registrazione in sè non fu particolarmente gratificante, ma ovviamente il cuore dell’evento fu girare una scena in un film così importante. Innanzitutto la scenografia: Dante Ferretti aveva ricostruito mezza New York nel 1860 con una dovizia di particolari incredibile. Imparai molto velocemente che è la cura dei particolari che fa la differenza a quei livelli:Scorsese mirava all’Oscar, e per vincere un Oscar con un film storico devi sciorinare una precisione nei dettagli assolutamente maniacale.

Prima fase: i costumi. Una stanza intera piena di vestiti ottocenteschi, cilindri. bombette, scarpe durissime, camicie ruvide. Poi, il tocco di classe: GRASSO DI FOCA IN TESTA!!
Pensate che profumino….

Seconda fase: l’attesa. Ore ed ore senza fare assolutamente niente se non ascoltare i racconti di alcune comparse che asserivano di aver lavorato con tutti i registi più grandi (benissimo, salvo che nessuno se li ricorderà in quanto comparse…) ed allontanare l’immancabile venditore di orologi ( aoh, so’ rolez verii!). Che scatole..

Terza fase: il professionismo americano e quello italiano. Daniel Day Lewis, Di Caprio, Cameron Diaz, Martin Scorsese: che volete di più? una qualità così alta me l’ero sognata fino ad allora. Per quanto riguarda quello italiano, successe anche questo: la scena in cui facevo la comparsa prevedeva una serie di accoppiamenti carnali nella taverna tra signorine molto poco vestite e birbaccioni in costume d’epoca; tra le signorine spiccava una certa Eva Henger, nota professionista del settore. Il set era, ovviamente, doppiamente blindato. Al terzo ciak parte la musica, noi suoniamo in playback facendo dei movimenti prestabiliti, e uno di noi viene a trovarsi esattamente davanti a Eva Henger impallando un barista il quale, incurante delle macchine che stanno girando, sbotta in un perfetto romanesco: “Ahò, scansete che nun vedo un c…!!! Vi lascio immaginare il direttore di produzione: una belva scatenata che insultava a ripetizione il povero barista…A parte tutto, comunque, una esperienza davvero indimenticabile!

IL VOLO e la COLONNA SONORA

Fin dai primi tentativi di scrittura, praticati ormai una ventina d’anni fa, la mia musica ha assunto le fattezze della colonna sonora: ha, cioè, cercato di evocare  immagini e paesaggi, colori e sensazioni. E per molto tempo mi sono chiesto come poter fare per esaltare questo aspetto della mia musica: con quali immagini, cioè, potrei utilizzarla al meglio. E di nuovo, all’improvviso, la realtà che non ti aspetti mi ha sottoposto una occasione imperdibile.

Dopo numerosi anni ho ritrovato un vecchio amico: si chiama SISTO GHINASSI ed abita a Bibbiena (AR). Qualche anno fa, non vi dirò quanti neanche sotto tortura, suonavamo insieme nella banda del paese ( c’era, fra gli altri, anche suo padre, il grande Elio al bombardino..) e poi ci siamo persi di vista per un sacco di tempo. Quando ci siamo rivisti ho scoperto una sua nuova passione: il volo col paramotore! Con l’aiuto di questo strano marchingegno lui infatti decolla e vola, filmando e fotografando tutto ciò che si trova sotto e di fianco a lui.  La bellezza del posto dove viviamo ha fatto il resto, fornendo ispirazione a go-go con foreste, castelli, corsi d’acqua e antichi borghi. Alla fine Sisto si è deciso a raccogliere tutto questo materiale in un sito: www.paraclick.it.

E’ stato automatico a questo punto tentare di unire la mia musica a qualche video; il risultato lo potete vedere qui di seguito:

http://www.paraclick.it/index.php/film-nellaria/?id=43

Giudicate voi se ne valeva la pena. Io posso solo dire che sono felicissimo di aver ritrovato un amico e che questo amico ha colmato una grande lacuna nel mio percorso artistico. Grazie Sisto!

IO E JOHN RENBOURN

Qualche tempo dopo la prima jam session di una certa importanza, quella con Pierre Bensusan al Velvet di Castiglion Fiorentino (AR), arrivò a suonare nel locale un vero e proprio mostro sacro della chitarra, quel JOHN RENBOURN che insieme ad un vero e proprio gruppo di fenomeni diede vita ai PENTANGLE ed al folk revival britannico. Vista la precedente esperienza con Pierre Bensusan, il mio già citato amico Paolo Brasini (mi ripeto un pò ma devo davvero molto a questa persona, grazie Paolino!) pensò bene di organizzare una vera e propria ospitata nell’ambito del concerto, con tanto di prove pomeridiane e soundcheck; insomma un concerto in piena regola insieme ad uno dei miei eroi di sempre!

Mi presentai quindi carico di emozione al locale: dopo i saluti di rito ci mettemmo sul palco e provammo un pezzo che  avevo pensato di suonare con il low whistle, ottenendo però risultati solo discreti, nessuno sembrò particolarmente soddisfatto. Andai a cena con una sensazione mista di reverenza e fifa, perchè le prove non erano state davvero tranquillizzanti….

La magia di certe situazioni, però, mi venne in soccorso poco dopo.

Mi ricordai di avere provato, molto tempo prima, un brano tratto dal suo The black balloon intitolato THE MIST COVERED MOUNTAIN OF HOME, dove la sua chitarra magica suonava insieme ad un flauto traverso una melodia davvero bellissima. Così, poco prima che lui salisse sul palco, gli chiesi se se la ricordava e se avesse voluto suonarla. Lui accettò subito e cominciò il suo concerto…

Verso la fine, poi, arrivò il mio momento. John mi annunciò con tutti i crismi ed io, semplicemente terrorizzato, mi presentai con lo strumento a suonare un pezzo insieme a John Renbourn senza neanche averlo provato! La prima strofa la fece lui da solo, poi cominciai a suonare…ed ecco la magia! Tutto perfetto, suoni splendidi, brano meraviglioso. In sala non volava una mosca, c’erano molti amici miei e si percepiva uno strano miscuglio di stupore, ammirazione e felicità…

Appena finì il pezzo la sala esplose in un applauso grande ed affettuoso, davvero commovente; ho un ricordo molto definito di quel momento, lo considero forse il primo “successo” personale davanti ad un pubblico. La serata proseguì con un John Renbourn entusiasta quasi più di me, che si fece portare una bottiglia di vino bianco che finimmo velocemente, bevendola in parti uguali (sic), e che non la finiva più di farmi domande su come avessi cominciato, cosa stessi facendo musicalmente ecc. Facemmo le ore piccole e, ovviamente, quella notte dormii davvero poco…