Archivio annuale 28/12/2011

FOTO ALGUA (BG) 22 DICEMBRE 2011

Le foto sono di Gigi Bresciani. Grazie Gigi!

FOTO MUSSOLENTE (VI) 29 OTTOBRE 2011

Le foto sono di Gianluca Donanzan. Grazie!

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La mia musica è reperibile nel sito raggiungibile attraverso i seguenti links :

http://www.radicimusicrecords.it

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FOTO CAPODANNO CELTICO MILANO 30 OTTOBRE 2011

Le foto sono di Alberto Bianchi. Grazie Alberto!

IO E JOHN RENBOURN

Qualche tempo dopo la prima jam session di una certa importanza, quella con Pierre Bensusan al Velvet di Castiglion Fiorentino (AR), arrivò a suonare nel locale un vero e proprio mostro sacro della chitarra, quel JOHN RENBOURN che insieme ad un vero e proprio gruppo di fenomeni diede vita ai PENTANGLE ed al folk revival britannico. Vista la precedente esperienza con Pierre Bensusan, il mio già citato amico Paolo Brasini (mi ripeto un pò ma devo davvero molto a questa persona, grazie Paolino!) pensò bene di organizzare una vera e propria ospitata nell’ambito del concerto, con tanto di prove pomeridiane e soundcheck; insomma un concerto in piena regola insieme ad uno dei miei eroi di sempre!

Mi presentai quindi carico di emozione al locale: dopo i saluti di rito ci mettemmo sul palco e provammo un pezzo che  avevo pensato di suonare con il low whistle, ottenendo però risultati solo discreti, nessuno sembrò particolarmente soddisfatto. Andai a cena con una sensazione mista di reverenza e fifa, perchè le prove non erano state davvero tranquillizzanti….

La magia di certe situazioni, però, mi venne in soccorso poco dopo.

Mi ricordai di avere provato, molto tempo prima, un brano tratto dal suo The black balloon intitolato THE MIST COVERED MOUNTAIN OF HOME, dove la sua chitarra magica suonava insieme ad un flauto traverso una melodia davvero bellissima. Così, poco prima che lui salisse sul palco, gli chiesi se se la ricordava e se avesse voluto suonarla. Lui accettò subito e cominciò il suo concerto…

Verso la fine, poi, arrivò il mio momento. John mi annunciò con tutti i crismi ed io, semplicemente terrorizzato, mi presentai con lo strumento a suonare un pezzo insieme a John Renbourn senza neanche averlo provato! La prima strofa la fece lui da solo, poi cominciai a suonare…ed ecco la magia! Tutto perfetto, suoni splendidi, brano meraviglioso. In sala non volava una mosca, c’erano molti amici miei e si percepiva uno strano miscuglio di stupore, ammirazione e felicità…

Appena finì il pezzo la sala esplose in un applauso grande ed affettuoso, davvero commovente; ho un ricordo molto definito di quel momento, lo considero forse il primo “successo” personale davanti ad un pubblico. La serata proseguì con un John Renbourn entusiasta quasi più di me, che si fece portare una bottiglia di vino bianco che finimmo velocemente, bevendola in parti uguali (sic), e che non la finiva più di farmi domande su come avessi cominciato, cosa stessi facendo musicalmente ecc. Facemmo le ore piccole e, ovviamente, quella notte dormii davvero poco…

RICORDO DI BERT JANSCH

Forse una delle figure più importanti del mondo della chitarra acustica. Fondatore dei Pentangle insieme a John Renbourn, autentico rivoluzionario per quanto riguarda lo stile chitarristico, Bert Jansch ci ha lasciato il 5 ottobre 2011. Mi corre l’obbligo di ricordare qui questo strardinario musicista, che coi dischi dei Pentangle (su tutti BASKET OF LIGHT)  ha fatto sognare per anni autentici universi paralleli grazie agli intrecci mirabili delle sue corde con quelle di Renbourn,  alla meravigliosa voce di Jacqui Mc Shee e al poderoso sostegno del basso di Danny Thompson. Ebbi anche il piacere di conoscerlo, naturalmente al Velvet Underground, per un concerto insieme proprio a Renbourn, ed ebbi modo di apprezzare la sua gentilezza e disponibilità.

Sabato 22 ottobre, durante il concerto che terrò a Latina insieme a Luca Busatti, ospiteremo l’amico Marcello De Dominicis per un omaggio, doveroso, a questo straordinario musicista.

Grazie Bert.

PROGRESSIVE ROCK

 

Frequentavo la scuola superiore quando formammo con gli amici il primo gruppo musicale; ovviamente si partiva dalle cover, e mentre tutti proponevano brani rock di artisti quali Deep PurpleLed Zeppelin (alzi la mano chi non è stanco suonare Smoke on the water) la mia attenzione veniva catturata da qualcosa di più impegnativo: il progressive rock. Si trattava di un filone musicale caratterizzato da grande capacità tecnica, tempi spezzati, brani lunghissimi (in certi casi anche una facciata intera di album) ed un immaginario che per certi versi poteva anche essere considerato precursore del celtico o della new age. Suonando io il basso furono gruppi come Yes o Rush i prediletti, ma anche Gentle Giant, King Crimson e gli adorati Jethro Tull.

Il progressive rock è una vera trappola: una volta che sei abituato a certi standard diventa difficile che qualcosa di più semplice ti possa colpire allo stesso modo (ci ho messo un sacco di tempo prima di ammettere la grandezza dei Talking Heads, per esempio), ma è stata una palestra di fondamentale importanza per le mie capacità musicali. Una volta che ti sei allenato – per molto tempo, invero – sopra i dischi dei gruppi sopra citati ma anche di Kansas, Van der Graaf Generator o Genesis acquisisci una padronanza tale dello strumento da poter  cimentarti in molti altri generi con estrema facilità.

Potremmo dire che tutti questi grandi gruppi avessero in comune la ricerca della bellezza, quindi un senso estetico davvero elevato; per quello, secondo me, non passeranno mai veramente di moda. Perchè sarà la bellezza a salvare il mondo di oggi. Per capire cosa intendo andate a sentire il brano NON MI ROMPETE del Banco del Mutuo Soccorso… Provate anche a sentire altri artisti italiani: Le Orme, PFM… Siamo da sempre un paese pieno di bellezze e fu secondo me normale che il genere progressive divenne molto popolare in Italia negli anni ’70.

In conclusione, vorrei approfittare di questo spazio per ringraziare tutti questi artisti i quali, grazie anche all’aiuto di discografici illuminati, lavoravano in totale e completa libertà, privi di vincoli di minutaggi radiofonici o di altro tipo. Da quella libertà sono nati tantissimi capolavori che hanno fatto la storia della musica; ed è a quella libertà che io, per quanto faccia parte della generazione successiva, cerco di fare riferimento quando suono, scrivo o produco musica.

 close to the edge

Frequentavo la scuola superiore quando formammo con gli amici il primo gruppo musicale; ovviamente si partiva dalle cover, e mentre tutti proponevano brani rock di artisti quali Deep PurpleLed Zeppelin (alzi la mano chi non è stanco suonare Smoke on the water) la mia attenzione veniva catturata da qualcosa di più impegnativo: il progressive rock. Si trattava di un filone musicale caratterizzato da grande capacità tecnica, tempi spezzati, brani lunghissimi (in certi casi anche una facciata intera di album) ed un immaginario che per certi versi poteva anche essere considerato precursore del celtico o della new age. Suonando io il basso furono gruppi come Yes o Rush i prediletti, ma anche Gentle Giant, King Crimson e gli adorati Jethro Tull.

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Il progressive rock è una vera trappola: una volta che sei abituato a certi standard diventa difficile che qualcosa di più semplice ti possa colpire allo stesso modo (ci ho messo un sacco di tempo prima di ammettere la grandezza dei Talking Heads, per esempio), ma è stata una palestra di fondamentale importanza per le mie capacità musicali. Una volta che ti sei allenato – per molto tempo, invero – sopra i dischi dei gruppi sopra citati ma anche di Kansas, Van der Graaf Generator o Genesis acquisisci una padronanza tale dello strumento da poter  cimentarti in molti altri generi con estrema facilità.

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Potremmo dire che tutti questi grandi gruppi avessero in comune la ricerca della bellezza, quindi un senso estetico davvero elevato; per quello, secondo me, non passeranno mai veramente di moda. Perchè sarà la bellezza a salvare il mondo di oggi. Per capire cosa intendo andate a sentire il brano NON MI ROMPETE del Banco del Mutuo Soccorso… Provate anche a sentire altri artisti italiani: Le Orme, PFM… Siamo da sempre un paese pieno di bellezze e fu secondo me normale che il genere progressive divenne molto popolare in Italia negli anni ’70.

darwin

In conclusione, vorrei approfittare di questo spazio per ringraziare tutti questi artisti i quali, grazie anche all’aiuto di discografici illuminati, lavoravano in totale e completa libertà, privi di vincoli di minutaggi radiofonici o di altro tipo. Da quella libertà sono nati tantissimi capolavori che hanno fatto la storia della musica; ed è a quella libertà che io, per quanto faccia parte della generazione successiva, cerco di fare riferimento quando suono, scrivo o produco musica.

 

THE IRISH TIN WHISTLE

Un piccolo, poco appariscente tubino di latta con sei fori davanti ed un beccuccio di plastica colorata. Ma anche uno dei simboli della musica irlandese, l’accesso più veloce ed immediato per migliaia e migliaia di appassionati che vogliono confrontarsi con la musica irlandese. E parimenti uno degli strumenti più insospettabilmente espressivi nel panorama tradizionale dell’isola verde.

Nacque con una zeppa di legno al posto del beccuccio, in tempi remoti, un modello denominato Clarke; oggi i modelli più usati sono i Generation, reperibili in qualsiasi negozio di strumenti musicali anche in Italia. Esistono versioni molto più ricercate: interamente di plastica (Susato), o col beccuccio metallico su corpo di legno, più costose, senz’altro più raffinate, ma che qualche volta eccedono in precisione, perdendo un pò di quella semplicità che è in realta la forza di questo strumento,  piccolo ma magico al punto da aver avuto degli interpreti passati alla storia della musica irlandese: Micho Russell, Sean Ryan, Sean Potts oltre che Paddy Moloney dei Chieftains.whistles
Un piccolo, poco appariscente tubino di latta con sei fori davanti ed un beccuccio di plastica colorata. Ma anche uno dei simboli della musica irlandese, l’accesso più veloce ed immediato per migliaia e migliaia di appassionati che vogliono confrontarsi con la musica irlandese. E parimenti uno degli strumenti più insospettabilmente espressivi nel panorama tradizionale dell’isola verde.

Nacque con una zeppa di legno al posto del beccuccio, in tempi remoti, un modello denominato Clarke; oggi i modelli più usati sono i Generation, reperibili in qualsiasi negozio di strumenti musicali anche in Italia. Esistono versioni molto più ricercate: interamente di plastica (Susato), o col beccuccio metallico su corpo di legno, più costose, senz’altro più raffinate, ma che qualche volta eccedono in precisione, perdendo un pò di quella semplicità che è in realta la forza di questo strumento,  piccolo ma magico al punto da aver avuto degli interpreti passati alla storia della musica irlandese: Micho Russell, Sean Ryan, Sean Potts oltre che Paddy Moloney dei Chieftains.

VENT’ANNI DOPO

Il tempo passa, e anche alla svelta. Qualche mese fa feci un rapido calcolo e mi accorsi che dal 1 agosto 1991, giorno in cui arrivai in Italia con la cornamusa per la prima volta, erano passati giusti giusti VENT’ANNI! Inevitabile tornare indietro con la mente a quei giorni, quando rimasi a Sligo per tre giorni, aspettando che Charles Roberts finisse di costruire il mio  strumento (per la cronaca, quello che suono ancora oggi con la stessa ancia!) Mi ritornò in mente anche un signore di Westport di nome OLCAN MASTERSON, grande suonatore di tin whistle e story teller col quale passai i giorni immediatamente precedenti, il quale fu il primo ad insegnarmi il giusto spirito e tutta la bellezza della musica irlandese, nonchè il suo formidabile potere aggregante.

Poi, improvvisamente, la notizia! Il mio amico SANDRO BRUTI, olandese di nascita ma bolsenese di origine ( me lo ha fatto conoscere ovviamente LA TRESCA), impeccabile organizzatore del DRAMTUNE FESTIVAL che si tiene a SCHEVENINGEN, in Olanda, mi chiede di andare a suonare lì perchè tra i suoi amici verrà anche un certo Olcan Masterson di Westport! Così, esattamente venti anni dopo, ci siamo ritrovati con questo signore tanto minuto nel fisico quanto enorme nello spirito.

Impossibile descrivere la commozione dell’incontro, così come impossibile raccontare la gioia del concerto insieme e l’intima profondità del giorno successivo, quando tutti insieme ci siamo ritrovati al Rose Garden nel parco di Scheveningen per una session a lume di candela insieme agli amici tedeschi ed olandesi che con noi avevano calcato il palco la sera prima. Solo chi c’era può capire di cosa parlo….Col senno di poi ci sono arrivato: questo signore mi aveva insegnato, pur nello stile della session, ad essere musicalmente libero, e quello che sono oggi lo devo in gran parte a lui, perchè è stato il primo a lasciare una impronta indelebile dentro la mia anima musicale. Adesso spero sinceramente di non dover aspettare altri venti anni prima di rincontrarlo! Un grazie di cuore anche a Victor, potente suonatore di fisarmonica e a Rob, chitarrista e violinista olandese che accompagna Olcan quando suona in Olanda, entrambi persone altrettanto preziose.

 

 

 

Infine, devo ringraziare il mio grande amico SANDRO BRUTI: grazie a lui ho vissuto emozioni davvero particolari in terra olandese, e spero vivamente di averlo ripagato anche solo in parte! Grazie Sandro, anche a tutta la tua meravigliosa famiglia.

Dank je wel!!

 

 

Ps  foto dal sito  www.dramtune.com

LA VECCHIA IRLANDA

Ogni anno mia moglie accompagna degli studenti in vacanza studio in un paese britannico per studiare l’inglese: quest’anno li ha portati a Dublino, Irlanda, e nel programma era prevista anche una escursione di un paio di giorni a Galway, da sempre la mia città preferita e luogo dove storicamente ho  sperimentato le più belle sessions della mia vita nel corso degli anni Novanta. Non potevo restare indifferente a tutto ciò: ho caricato nostro figlio, le mie uilleann pipes e tutti insieme abbiamo raggiunto la comitiva.

Come sappiamo tutti la crisi mondiale ha colpito duro soprattutto in Irlanda: beh, si vede. Si vede molto bene. Dublino solo quattro anni fa era una città decisamente insopportabile: piena di gente fino all’inverosimile, sporca, con un traffico da metropoli sudamericana e la gente che non ti guarda neanche in faccia, come da copione. Quest’anno il traffico è quasi sparito, per la strada si cammina molto bene e tutti, compresi gli autisti degli autobus, sono tornati ad essere gentili ed educati. Sembra quasi la vecchia Irlanda, con il suo 15% di disoccupati e dove si viveva  una atmosfera irripetibile anche solo quindici anni fa.

A Dublino ho suonato in due pubs: l’ormai mitico COBBLESTONE, nel quartiere di Smithfield, e il DEVITT’s, a sud di Stephen’s Green. Nel primo sono stato accolto dal gentilissimo proprietario, fratello di NEIL MULLIGAN, celebre piper tradizionale. In dieci minuti mi  ha fatto conoscere decine di musicisti e/o persone collegate in qualche modo alla musica tradizionale: archivisti, collezionisti, insegnanti…una disponibilità davvero incredibile! A seguire musica di ottimo livello e gran divertimento.

Nel secondo ho suonato di nuovo con un banjoista di nome Gerry (non ricordo il cognome) col quale avevo già suonato al Bewley’s cafe insieme ad Antonio Breschi quattro anni prima ed altri bravissimi musicisti tra cui spiccava un giovane suonatore di concertina davvero rimarchevole. Poi, la chicca: una bella versione cantanta di CALEDONIA di Dolores Keane, cantanta da tutto il pub nella quale ho riversato tutto il mio lirismo strappacore da italiano tenore mancato (ehm…) suscitando inevitabili consensi. Per finire un signore anziano si è messo a cantare ed è stato da me prontamente registrato: a breve ve lo farò sentire….

Dopodichè, Galway. Quanto tempo è passato dall’ultima volta? Dieci anni! Mi accorgo che manco da dieci anni dalla città che forse amo di più e che nel corso degli anni Novanta mi ha dato di più in fatto di emozioni. Sono emozionato un bel pò a tornare..                    La città si è allargata a dismisura, ma il centro è rimasto pressochè intatto. Complice l’ARTS  FESTIVAL c’è davvero tanta gente in giro, tra cui il mio amico Daniele Bicego da Pavia, ottimo piper e costruttore di strumenti. Insieme decidiamo di infilarci nel pub del centro per antonomasia, il TAAFFES, dove ci spariamo una bella session a tre cornamuse (presente anche un nerboruto signore locale molto bravo) ed un violino. La particolarità dell’organico rende la session molto particolare, ma quello che più conta è che l’emozione si ripresenta in tutta la sua bellezza.

La magia di certe cose, tra cui la vecchia Irlanda,  per fortuna non è ancora stata distrutta.

O forse la crisi si sente anche a Galway? Giudicate voi…